
Cosi' il profilo e' senza macchia
il Secolo XIX del 08.02.2012
DIFENDERE L’IMMAGINE ONLINE
Togliere commenti o foto sgradite da Internet si può: ecco come
UN’ONORATA CARRIERA, decine di anni trascorsi tra studio, lavoro e sacrifici. Tutto per costruire una buona reputazione. Eppure, in Rete, si rischia di rovinarla in pochi secondi. Sì, perché la vita 2.0 scorre in fretta, è molto più rapida di quella reale. Così anche le frasi diffamatorie, le immagini lesive, capaci di peggiorare o addirittura distruggere l’identità online di una persona o di un’azienda, non sono sempre facili da individuare.
Ma è un dato di fatto che la propria identità digitale vada controllata. «Chiunque può immettere in rete delle informazioni che ci riguardano» dice Andrea Caristi, avvocato di difesareputazione.it «e può farlo con estrema facilità. Da non dimenticare, poi, la concreta possibilità che un contenuto sgradito venga ulteriormente propagato, a catena, su altri siti, magari attraverso un commento scritto su un forum di discussione». I privati, ad esempio, possono chiedere che vengano eliminate dalla Rete le foto che li ritraggono in momenti del tempo libero e che giudicano in qualche modo sconvenienti. Oppure, possono domandare la cancellazione di commenti diffamatori su blog e social network.
Per le aziende è diverso: chiedono di eliminare eventuali commenti negativi sui loro prodotti. Mentre manager e professionisti chiedono un controllo preventivo su tutta la Rete: siti, blog e social network. Ma come si può impedire che la reputazione virtuale comprometta quella reale? «Con delle verifiche periodiche» aggiunge l’avvocato «si inizia con un’analisi sui maggiori motori di ricerca, utilizzando come chiavi il proprio nome e cognome o quello di una ditta, società o prodotto.
Il metodo può essere affinato associando il proprio titolo professionale o delle parole collegate sia alla propria vita lavorativa, che privata. Possono essere effettuate ricerche più specifiche, utilizzando aggregatori di notizie o motori specializzati nella ricerca all’interno dei blog, come 123People, Google Blogsearch, Libero24x7». Se dal controllo dovessero emergere spiacevoli sorprese, passare immediatamente alla fase due: “la difesa fai da te”, da affrontare, ovviamente, con la massima cautela: «È meglio procedere senza l’ausilio di esperti del settore» suggerisce Caristi «solo in casi in cui è possibile una rimozione con procedure automatiche o standardizzate. Ad esempio, Google consente di richiedere la rimozione dalle proprie memorie cache e conseguentemente rendere non più visibili quali risultati di ricerca i link alle pagine non più attuali o attive».
Le aziende, invece, sono più orientate a chiedere il monitoraggio di siti e social network. Questo perché l’attività di comunicazione e marketing delle imprese è sempre più concentrata online. Secondo un’analisi dell’università Iulm, il 32 per cento delle aziende italiane utilizza almeno un canale social media e, tra queste, il 54 per cento sono banche. Il più utilizzato è Facebook, scelto dal 35,2%, seguito da Linkedin, preferito dal 15,5%, e Youtube, utilizzato dal 14% di chi ha un profilo “social”. «Capita non di rado» sottolinea l’avvocato Caristi «che le aziende siano esposte ad una critica serrata proprio sui so cial network: legittimi strumenti di confronto delle opinioni dei consumatori possono diventare veri e propri strumenti di concorrenza sleale». Ed è a questo punto che i professionisti sono chiamati ad intervenire, per evitare che si finisca in un’aula di tribunale. E molto spesso ci riescono.
di Isabella Faggiano
il Secolo XIX del 08.02.2012